Le radici dell’emigrazione friulana affondano nel XVI secolo con direttrici orientate verso i paesi di area germanica, l’est europeo (Ungheria, Romania) e le regioni dell’Italia settentrionale1. Al tempo, la zona maggiormente interessata era quella montana della Carnia, a nord della regione, da cui partivano “tessitori, artigiani, facchini, domestici e soprattutto merciai ambulanti, i cramârs”2. Nella seconda metà del Settecento, poi, il fenomeno coinvolge un’area più estesa del territorio e nella prima metà del secolo successivo si dirige per lo più verso le regioni maggiormente sviluppate dal punto di vista industriale: Lombardia e Veneto. Nel periodo 1880-1915 si registra il picco degli spostamenti migratori e le mete sono la Svizzera, l’Argentina e il Brasile, gli Stati Uniti e il Canada3.
La produzione di testi che fanno riferimento a tale fenomeno è legata al repertorio delle villotte ed ha un carattere sostanzialmente lirico e non narrativo, descrittivo o, ancora, rivendicativo riguardo alle condizioni dei migranti. Nel caso di “A cjante il gjal” è una voce maschile, la voce di chi parte, a farsi sentire e a salutare la ninine che rimane al paese. Così come nella famosa “Biel tornand da l’Ongiarie”: Biel tornand da l’Ongiarie / la viodei sul lavadôr. / Bandonai la compagnie / mi fermai a fa l’amôr. (Mentre me ne tornavo dall’Ungheria / l’ho vista sul lavatoio. / Ho lasciato la mia compagnia / mi son fermato a far l’amore. )4.
Spesso, però, è la donna che trova motivo per prendere la parola e lamentare la nostalgia per la lontananza del proprio uomo: Se jo fos une zizile / in Germanie voress lȃ / voress lȃ su l’armadure / là c’al è a lavorà. (Se io fossi una rondine / in Germania vorrei andare / andare sull’impalcatura / dove lui sta a lavorare.)5. O anche: Oh, no no plui in Gjarmanie / chel ninin no lȃsci lȃ, / son chȇs babis di todes’cis / no me l’lascin tornȃ cà6. (O no non più in Germania / quel tesoro non lo lascio andare, / ci sono quelle pettegole di tedesche / non me lo lasciano tornare a casa.). E ancora: Cui sa il gno moro / dulà c’al è / dulà c’al va (biat mai lu!). / Al è in Gjarmanie / a fȃ scudielis / a fȃ planèlis / a fȃ modòn / al è in Gjarmanie / a lavorà.7(Chissà il mio moro / dov’è / dove va / (beato lui). / È in Germania / a fare scodelle / a fare pianelle / a fare mattoni. / È in Germania / a lavorare.). Accenti particolarmente dolorosi sono espressi in questo canto raccolto in Carnia, a Tualis: Al vaiva lu soreli / a viodeilu a partì: / jo ch’i soi, Jesu jo / la su murosa, Jesu jo, no lu àjo di vaì? / Velu là, velu là via, / chel c’al spaca il fazzolét! / Lui al fȃs, velu là, / par saludȃmi, velu là, / mandi, mandi, benedét!8 (Piangeva il sole / a vederlo partire / io che sono, povera me, la sua morosa, povera me / non lo devo piangere? / Eccolo là, eccolo laggiù / quello che scuote il fazzoletto! / Lui fa, eccolo là, / per salutarmi, eccolo là / mandi9, mandi, benedetto!).
Nel corso del Novecento diversi compositori friulani si sono impegnati nella creazione di canti corali che riprendessero nel testo la tematica della migrazione. Fra le composizioni spicca, per fama locale e diffusione nelle corali della regione, quella dal titolo esplicito “L’emigrant” del compositore di Pontebba (UD) Arturo Zardini (1869-1923), conosciuto anche a livello nazionale per “Stelutis alpinis” (una intensa meditazione che dà voce ad un soldato caduto nel corso della Grande Guerra).
Dalle parti del Friuli di Andrea Passerelli
Le radici dell’emigrazione friulana affondano nel XVI secolo con direttrici orientate verso i paesi di area germanica, l’est europeo (Ungheria, Romania) e le regioni dell’Italia settentrionale1. Al tempo, la zona maggiormente interessata era quella montana della Carnia, a nord della regione, da cui partivano “tessitori, artigiani, facchini, domestici e soprattutto merciai ambulanti, i cramârs”2. Nella seconda metà del Settecento, poi, il fenomeno coinvolge un’area più estesa del territorio e nella prima metà del secolo successivo si dirige per lo più verso le regioni maggiormente sviluppate dal punto di vista industriale: Lombardia e Veneto. Nel periodo 1880-1915 si registra il picco degli spostamenti migratori e le mete sono la Svizzera, l’Argentina e il Brasile, gli Stati Uniti e il Canada3.
La produzione di testi che fanno riferimento a tale fenomeno è legata al repertorio delle villotte ed ha un carattere sostanzialmente lirico e non narrativo, descrittivo o, ancora, rivendicativo riguardo alle condizioni dei migranti. Nel caso di “A cjante il gjal” è una voce maschile, la voce di chi parte, a farsi sentire e a salutare la ninine che rimane al paese. Così come nella famosa “Biel tornand da l’Ongiarie”: Biel tornand da l’Ongiarie / la viodei sul lavadôr. / Bandonai la compagnie / mi fermai a fa l’amôr. (Mentre me ne tornavo dall’Ungheria / l’ho vista sul lavatoio. / Ho lasciato la mia compagnia / mi son fermato a far l’amore. )4.
Spesso, però, è la donna che trova motivo per prendere la parola e lamentare la nostalgia per la lontananza del proprio uomo: Se jo fos une zizile / in Germanie voress lȃ / voress lȃ su l’armadure / là c’al è a lavorà. (Se io fossi una rondine / in Germania vorrei andare / andare sull’impalcatura / dove lui sta a lavorare.)5. O anche: Oh, no no plui in Gjarmanie / chel ninin no lȃsci lȃ, / son chȇs babis di todes’cis / no me l’lascin tornȃ cà6. (O no non più in Germania / quel tesoro non lo lascio andare, / ci sono quelle pettegole di tedesche / non me lo lasciano tornare a casa.). E ancora: Cui sa il gno moro / dulà c’al è / dulà c’al va (biat mai lu!). / Al è in Gjarmanie / a fȃ scudielis / a fȃ planèlis / a fȃ modòn / al è in Gjarmanie / a lavorà.7 (Chissà il mio moro / dov’è / dove va / (beato lui). / È in Germania / a fare scodelle / a fare pianelle / a fare mattoni. / È in Germania / a lavorare.). Accenti particolarmente dolorosi sono espressi in questo canto raccolto in Carnia, a Tualis: Al vaiva lu soreli / a viodeilu a partì: / jo ch’i soi, Jesu jo / la su murosa, Jesu jo, no lu àjo di vaì? / Velu là, velu là via, / chel c’al spaca il fazzolét! / Lui al fȃs, velu là, / par saludȃmi, velu là, / mandi, mandi, benedét!8 (Piangeva il sole / a vederlo partire / io che sono, povera me, la sua morosa, povera me / non lo devo piangere? / Eccolo là, eccolo laggiù / quello che scuote il fazzoletto! / Lui fa, eccolo là, / per salutarmi, eccolo là / mandi9, mandi, benedetto!).
Nel corso del Novecento diversi compositori friulani si sono impegnati nella creazione di canti corali che riprendessero nel testo la tematica della migrazione. Fra le composizioni spicca, per fama locale e diffusione nelle corali della regione, quella dal titolo esplicito “L’emigrant” del compositore di Pontebba (UD) Arturo Zardini (1869-1923), conosciuto anche a livello nazionale per “Stelutis alpinis” (una intensa meditazione che dà voce ad un soldato caduto nel corso della Grande Guerra).
Fonte delle immagini:
http://www.ammer-fvg.org/aspx/EnteFriuliMondo.aspx
1F. Bednarz, “L’emigrazione dal Friuli Venezia Giulia: destinazione Svizzera”, in www.ammer-fvg.org
2G. Bertuzzi, “Storia dell’emigrazione regionale”, in www.ammer-fvg.org
3L’emigrazione regionale: un fenomeno antico, in www.regione.fvg
4In “Canzoniere Italiano. Antologia della poesia popolare”, Garzanti, 1992 a cura di P. P. Pasolini
5In A. V. Savona – M. L. Straniero, “Canti dell’emigrazione”, Garzanti, 1976, citato da A. Fior, “Villotte e canti del Friuli”, Milano, 1954.
6In A. V. Savona – M. L. Straniero, op. cit.
7In A. V. Savona – M. L. Straniero, op. cit.
8In A. V. Savona – M. L. Straniero, op. cit.
9Mandi è il tipico saluto friulano di commiato.
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