Gennaio 2010, Treviso, una festa di diciassettenni.
Io, ragazzina tra i ragazzini, timida come solo sono stata a quell’età, ma molto curiosa e pronta a lanciarmi in nuove avventure. C’è una conoscente con cui comincio a chiaccherare. Mi racconta di aver trovato tramite Facebook delle persone con il suo stesso cognome, dall’altra parte del mondo. In Tasmania. Potrebbero essere suoi parenti, mi dice.
Faccio mente locale rispetto a quello che so di questo posto: il temibilissimo diavolo rotante dei cartoni animati… e poi? L’Australia nella mia mente si configura come un paese lontanissimo e inimmaginabile. La ragazza con cui sto parlando mi racconta di volerci andare, ma di non aver trovato nessuna coetanea disposta a farlo. Scherzo sull’andarci con lei, la serata si conclude, passo in rassegna gli impegni del giorno dopo prima di addormentarmi.
Giugno 2010, Egg Islands, chiacchere in casa di una coppia di anziani
La nonna sfoglia un giornale a tiratura limitata. Arriva una volta al mese a Lanceston, e poi il figlio glielo recapita a casa. Il nonno lo prende e comincia a leggerlo seduto in poltrona. Lei invece parla con il nipote, chiedendogli com’è andata la giornata. Si capiscono a stento, ma il legame tra i due sembra essere molto forte. Tra una frase e l’altra, si abbracciano spesso.
L’insieme di sensazioni nuove che ho provato negli ultimi dieci giorni è indescrivibile: mi sento sballottata in un universo sconosciuto, di cui mi mancano le coordinate. Non ho chiavi di lettura per capire ciò che vedo, e non ho la padronanza linguistica adatta per comprendere appieno le parole di chi cerca di aiutarmi in questo. Tuttavia mi sento energica, piena di vita, sgrano gli occhi nel tentativo di assorbire tutto ciò che mi affascina. Vago per la piccola città, e per le immense distese di terra, assetata di vita.
Ebbene sì, sono in Tasmania. I primi giorni me lo ripetevo spesso, tra me e me, incredula e attonita. Sono qui. Benvenuta, Agnese.
Tra le mille cose che mi stupiscono (una tra tutte i paesaggi naturali: canyon, fiumi, spiagge, strade enormi che percorriamo a bordo di un furgoncino verde speranza) una in particolare colpisce la mia attenzione. I nonni del nostro coetaneo australiano parlano dialetto. E non un dialetto qualsiasi, non è quel modo particolare di parlare inglese australiano, che mi fa maledire tutti gli anni passati a studiarlo.
I nonni che ci stanno offrendo il tè nella loro bellissima casa in mezzo al nulla parlano dialetto veneto e leggono un giornale scritto nella stessa lingua, che neanche io e la mia amica abbiamo mai sentito. Nella nostra curiosità di ragazzine che si trovano dall’altra parte del mondo, cerchiamo avidamente informazioni a tal proposito. Arriviamo alla conclusione che:
Il dialetto che ha imparato la nonna risale alla lingua che veniva parlata dai suoi genitori prima della loro emigrazione e nel frattempo è cambiato, evolvendosi;
La lingua che parlano è contaminata da moltissime influenze che riconduciamo poi all’inglese. Infatti, come apprendiamo da una rapida ricerca sulla Treccani: ‘la possibilità di alternare più lingue nella conversazione e la posizione della lingua del paese ospite rispetto agli altri due poli del repertorio, per ampiezza di ambiti d’uso e prestigio sociale, comporta fenomeni di pressione della lingua straniera sull’italiano, che si manifestano in interferenze, prestiti e nell’insorgere di varietà miste’.
Wow. Da linguiste, ne rimaniamo affascinate.
La storia della comunità italiana in Australia è abbastanza nota, ma pochi studi sono a riguardo della Tasmania, isola che rimane nell’immaginario italiano come un posto mitizzato, quasi irreale.
Sembra che alcuni italiani, principalmente musicisti e imprenditori, cominciarono ad arrivare nel 1800. L’emigrazione italiana ha poi subito un picco in corrispondenza della fine delle due guerre mondiali. Gli italiani di Tasmania hanno formato una comunità con i propri club di riferimento, ristoranti, aree abitate, i cui effetti si vedono fino ad oggi.
Trovarmi ora nel ciclone della storia mi stordisce e mi affascina ma passeranno anni ancora prima che riesca a comprendere la portata di ciò che sto vivendo. Welcome to Tasmania, Agnese. Anzi, benvegnùa!
‘DE CHI SITU TI?’ aussie edition di Agnese Calò
Gennaio 2010, Treviso, una festa di diciassettenni.
Io, ragazzina tra i ragazzini, timida come solo sono stata a quell’età, ma molto curiosa e pronta a lanciarmi in nuove avventure. C’è una conoscente con cui comincio a chiaccherare. Mi racconta di aver trovato tramite Facebook delle persone con il suo stesso cognome, dall’altra parte del mondo. In Tasmania. Potrebbero essere suoi parenti, mi dice.
Faccio mente locale rispetto a quello che so di questo posto: il temibilissimo diavolo rotante dei cartoni animati… e poi? L’Australia nella mia mente si configura come un paese lontanissimo e inimmaginabile. La ragazza con cui sto parlando mi racconta di volerci andare, ma di non aver trovato nessuna coetanea disposta a farlo. Scherzo sull’andarci con lei, la serata si conclude, passo in rassegna gli impegni del giorno dopo prima di addormentarmi.
Giugno 2010, Egg Islands, chiacchere in casa di una coppia di anziani
La nonna sfoglia un giornale a tiratura limitata. Arriva una volta al mese a Lanceston, e poi il figlio glielo recapita a casa. Il nonno lo prende e comincia a leggerlo seduto in poltrona. Lei invece parla con il nipote, chiedendogli com’è andata la giornata. Si capiscono a stento, ma il legame tra i due sembra essere molto forte. Tra una frase e l’altra, si abbracciano spesso.
L’insieme di sensazioni nuove che ho provato negli ultimi dieci giorni è indescrivibile: mi sento sballottata in un universo sconosciuto, di cui mi mancano le coordinate. Non ho chiavi di lettura per capire ciò che vedo, e non ho la padronanza linguistica adatta per comprendere appieno le parole di chi cerca di aiutarmi in questo. Tuttavia mi sento energica, piena di vita, sgrano gli occhi nel tentativo di assorbire tutto ciò che mi affascina. Vago per la piccola città, e per le immense distese di terra, assetata di vita.
Ebbene sì, sono in Tasmania. I primi giorni me lo ripetevo spesso, tra me e me, incredula e attonita. Sono qui. Benvenuta, Agnese.
Tra le mille cose che mi stupiscono (una tra tutte i paesaggi naturali: canyon, fiumi, spiagge, strade enormi che percorriamo a bordo di un furgoncino verde speranza) una in particolare colpisce la mia attenzione. I nonni del nostro coetaneo australiano parlano dialetto. E non un dialetto qualsiasi, non è quel modo particolare di parlare inglese australiano, che mi fa maledire tutti gli anni passati a studiarlo.
I nonni che ci stanno offrendo il tè nella loro bellissima casa in mezzo al nulla parlano dialetto veneto e leggono un giornale scritto nella stessa lingua, che neanche io e la mia amica abbiamo mai sentito. Nella nostra curiosità di ragazzine che si trovano dall’altra parte del mondo, cerchiamo avidamente informazioni a tal proposito. Arriviamo alla conclusione che:
Wow. Da linguiste, ne rimaniamo affascinate.
La storia della comunità italiana in Australia è abbastanza nota, ma pochi studi sono a riguardo della Tasmania, isola che rimane nell’immaginario italiano come un posto mitizzato, quasi irreale.
Sembra che alcuni italiani, principalmente musicisti e imprenditori, cominciarono ad arrivare nel 1800. L’emigrazione italiana ha poi subito un picco in corrispondenza della fine delle due guerre mondiali. Gli italiani di Tasmania hanno formato una comunità con i propri club di riferimento, ristoranti, aree abitate, i cui effetti si vedono fino ad oggi.
Trovarmi ora nel ciclone della storia mi stordisce e mi affascina ma passeranno anni ancora prima che riesca a comprendere la portata di ciò che sto vivendo. Welcome to Tasmania, Agnese. Anzi, benvegnùa!
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